Conversazioni in Sicilia di Elio Vittorini

Ci sono storie ben costruite, scritte a posta per elogiare un personaggio, un periodo storico o un’idea.
Ce ne sono altre, al contrario, ispirate a rinnegare appunto un momento storico, un antieroe o un’idea.
E poi ci sono quelle storie scritte per se stessi, per ricordare un attimo della propria vita, oppure, superare l’immensa selva oscura dantesca nella quale più di una volta nella vita ci troviamo.


Bene, queste storie possono essere scritte come diari segreti, confessioni notturne o conversazioni ipotetiche volte a raccontare e il loro valore è dato dalla bravura dell’artista di scrivere e descrivere ciò che egli pensa o ciò che egli cerca.
Mille diari e confessioni restano nei cassetti o borsette perché hanno già assolto alla loro funzione consolatrice di “salvare” l’autore e non hanno bisogno ne desiderio di consolare qualcun’altro: la loro missione si è subito compiuta con e per gli stessi scrittori.
Altri invece sono scritti più esigenti ed esigono allora di uscire dalla dimensione particolare e familiare che le era propria e dirompono in mezzo agli altri con l’intento speciale di consolare e o salvare qualche sconosciuto lettore o qualche migliaia di sconosciuti lettori.


Così la forma intima di scrittura diventa letteratura. Un diario diventa un libro ed un racconto, romanzo.
Così le belle immagini della memoria diventano mito collettivo di una infanzia immaginaria condivisa.


Il viaggio verso casa diviene la catarsi dell’auto analisi e della consapevolezza. E  il dialogo con la propria madre rimane l’eterno ritorno del confronto con la potenza generatrice, la più importante, la prima “altro” che incontriamo nella vita, la più ingombrante.

E poi ci sono le piccole cose della quotidianità che anch’esse in quest’ottica di universalizzazione del singolare si trasformano in statue rappresentative delle occasioni umane.

Perché parlo di questo oggi?

Perché ho letto di Elio Vittorini Conversazioni in Sicilia e sento il bisogno di scrivere subito le fortissime emozioni che provo.

Voglio scrivere così da continuare a riflettere su questi argomenti in futuro, alla rilettura.

Tutto quello che ho detto finora si riferisce al libro, è una mia considerazione su questo libro: vista la forma del racconto ho pensato ad una confessione personale.

Il protagonista è stanco e annoiato in preda ad astratti furori per niente creativo, per nulla paragonabili agli eroici furori di Giordano Bruno.

“Credere il genere umano perduto non aver febbre di fare qualcosa in contrario, voglia di perdemi, ad esempio, con lui.”

(Conversazioni in Sicilia di Elio Vittorini, Einaudi editore, pag 1)

(Il contrario di Bruno che per salvare la libera ragione del genere umano morirà al rogo per la prepotenza del potere nella Roma del 1600) Questo è solo un inciso non presente nel libro che mi è subito venuto alla mente semplicemente per la parola inusuale e comune ad entrambi “furori”.

E proseguendo con Vittorini:

“Ero agitato da astratti furori, non nel sangue, ed ero quieto, non avevo voglia di nulla”

(Conversazioni in Sicilia di Elio Vittorini, Einaudi editore, pag 1)

Ecco con questo spirito il protagonista si racconta e la vicenda si lascerebbe facilmente confondere con una personale confessione, con un diario segreto scritto per distrarsi un pò, se, come dicevo, non ci fossero pagine scritte con il preciso destino di uscire da sé ed entrare a pieno titolo nei ricordi collettivi.

Il viaggio in treno verso la Sicilia è il viaggio mentale nei luoghi dell’infanzia di ognuno di noi.

Quando uno si sposta da Nord a Sud usa l’espressione “scendere”, scendere a casa, scendere in Sicilia per esempio o in Campania o a Roma o semplicemente in Italia, scendere in Italia come nel mio caso che abito all’estero; la discesa è figurata perché rimanda alla discesa che l’animo fa quando, per volersi comprendere, cerca nel profondo del proprio io e questa azione gli sembra di compierla proprio scendendo, cercando nel fondo di qualcosa, qualcos’altro. Dal nord della testa cercare l’origine di una emozione nel sud del cuore.

Il viaggio in treno, i personaggi incontrati, i dialoghi, cominciano così le conversazioni.

L’incontro con la madre è, l’ho già detto, il primo grande ostacolo da superare, è la prima “altro” da sé, è il primo amore che non si possiede, è la prima porta che si trova per uscire dal labirinto.
Per Silvestro, è questo il nome del protagonista di Conversazioni in Sicilia di Elio Vittorini, è la simbolica meta del viaggio.

Mangeranno insieme, parleranno di cose passate, cose che lui aveva completamente dimenticato o mai saputo, scopriranno umori e vicende segrete.

E poi c’è la parte finale che non racconto perché sicuramente non saprei rendere con le mie considerazioni la potenza emotiva delle Conversazioni di Vittorini.
C’è una specie di colpo di scena che non si capisce subito se sia un colpo di scena della storia o dell’animo. Un fantasma oppure una confessione, uno spirito o un bambino adulto.
È potentissima la tensione finale degna della narrazione dei miti antichi.


Nella parte finale quando l’intrigo si trasforma in mito e favola ognuno saprà riconoscere in quella conversazione il proprio astratto furore, il primo irrisolto, qualunque esso sia di dolore, di perdita o semplicemente di rimpianto.

Silvestro esce di casa e presto l’immagine che Vittorini ci consegna è una processione di corvi, facchini, preti, donne, bambini che segue curioso un pifferaio che fuma e piange.
Alla marcia di Silvestro si aggiungono personaggi su personaggi, tutti gli uomini da lui incontrati nel viaggio, dai più insignificanti nel treno all’emblematico arrotino incontrato la sera prima, e tutti sono come maschere di un significato ritrovato

“Ma io non avevo nessuna risposta da dar loro. Non piangevo per qualche ragione. In fondo non piangevo nemmeno; ricordavo; e il ricordo aveva quest’ apparenza di pianto agli occhi altrui”.

(Conversazioni in Sicilia di Elio Vittorini, Einaudi editore, pag 178)

I numerosi volti della processione che l’accompagneranno fino alla bella donna di bronzo dell’altare ad caduti del piccolo paesino, sono come le facce colorate delle giostre finali nei film di Federico Fellini. Come artisti di un circo, ognuno con il proprio pezzo e ognuno dopo il proprio numero; in Vittorini e Fellini, i personaggi passano in rassegna agli occhi dello spettatore, come effettive maschere di istinti e passioni umane. Ognuno al proprio posto, ognuno nella propria favola ma tutti nella dimensione del presente eroe/protagonista in fuga da qualche atavico errore e in cerca di una ragione.

Da non dimenticare la serata di bevute di Silvestro, l’arrotino e la compagnia del dolore del mondo, dove Silvestro non vorrebbe eccedere nel bere perché sa che esso non è la bevanda concessa dagli dei per celebrare la libertà, quanto, quella ai quali gli uomini sono condannati per ricordare la propria piccolezza e debolezza.

E poi e concludo lasciandovi alla curiosità di leggere o rileggere il capolavoro di Elio Vittorini vorrei sottolineare il concetto espresso dallo scrittore circa la difficoltà di essere straniero, elemento quanto mai attuale. Silvestro parlando con la mamma ad un certo punto inventa l’ipotesi di un cinese e la invita a riflettere su quanto debba essere difficile per chi è straniero vivere. La mamma non sembra troppo interessata alle difficoltà di uno straniero in Sicilia tantomeno un cinese ed allora il figlio insiste, aggiungendo che, per esempio, un cinese porta sul viso la sua diversità (viceversa un siciliano in Cina) e troppo spesso sarà escluso e come si sentirà? Ancora la mamma sembra indifferente confermando che c’è tanta gente esclusa e triste anche tra i suoi compaesani, si ma, replica Silvestro, loro almeno potranno raccontare la propria tristezza a qualcuno perché senza i segni evidenti della diversità e la lingua comune loro, i compaesani, avranno sempre qualcuno pronto almeno ad ascoltarli, insomma nella parola e nel linguaggio condiviso troveranno spesso un conforto; lui no, il cinese no, lo straniero è solo.

Conversazioni in Sicilia di Elio Vittorini, Einaudi editore, edizione del 1977

Un pensiero su “Conversazioni in Sicilia di Elio Vittorini

  1. ” Dal nord della testa cercare l’origine di un’emozione nel sud del cuore “: anche ” furori distratti “sanno diventare “eroici” seguendo questa traiettoria come “meridiane” di Paul Celan

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