Recensione di Elena al libro L’ARMINUTA di Donatella Di Pietrantonio

La frase di Elsa Morante, posta sotto al titolo, e il viso indomito sulla copertina, opera della fotografa russa Anka Zhuravleva, contribuiscono, con lo stile intimista ed incalzante del racconto, a creare un’avvincente convivenza di denuncia e confessione.
Denuncia dei danni perpetrati da genitori che non esitano a picchiare per farsi obbedire e da genitori che scelgono il silenzio e l’abbandono come fuga davanti al dolore e alle difficoltà.
Confessione di una donna che ricorda, adolescente, essersi sentita un pacco, un giocattolo scambiato tra famiglie, con vergogna e nella menzogna, a tal punto da sentirsi irrimediabilmente diversa.
Nel romanzo vincitore del premio Campiello 2017 l’abruzzese Donatella Di Pietrantonio ritorna ai tredici anni della protagonista, l’Arminuta, e racconta in prima persona un anno e mezzo della sua vita a partire dall’estate del 1975.

Ripercorre, rivivendolo, un periodo di scoperta ed abbandono.

L’Arminuta, come la chiamano in paese, passa dalla danza, il nuoto, il pesce crudo e le passeggiate in riva al mare al letto singolo da condividere con la sorella Adriana, le pannocchie alla brace, il “calcinculo sferragliante degli zingari” e la scarpetta del piatto con il pane.

Il suo sgomento incrementato dai silenzi si cristallizza nell’incapacità da adulta di definire “che luogo sia una madre”.
L’Abruzzo si riversa nel racconto come una slavina lieve di pietra calcarea bianca, che con tenacia e naturalezza apporta al linguaggio sonorità dialettali e parole simbolo di tradizione (la presentosa, monile a forma di stella, il brodo di cardo con stracciatella, tipico del pranzo di Natale).

Abruzzese è pure il titolo. L’Arminuta, la donna “rimasta ferma a quella fanciullesca estate”, supera i limiti delle acque sicure con la complicità della sorella e con la caparbietà da sopravvissuta.

 

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